Giuseppe Flangini, primo di cinque figli, nasce il 12 ottobre 1898 da Silvio e Maria Sterza, insegnante, figlia di Alessandro Sterza, insigne matematico e inventore della lampada ad acetilene, medaglia d’oro all’Exposition di Bruxelles del 1897.
Conseguito il diploma alla Scuola Normale “A. Manzoni” di Verona il 27 giugno 1916, dovendo mantenere la madre e i fratelli iniziò la professione di insegnante elementare che continuò anche dopo la fuga a Milano, avvenuta forse nel 1943, a seguito di una breve prigionia nelle carceri fasciste per motivi politici: aveva infatti collaborato con il Corpo Volontari della Libertà.
Flangini fu “per così dire, polivalente: pedagogo o insegnante, commediografo, pittore, disegnatore, dotato di uno strano potere in ogni campo si cimentasse. Poi la pittura prevalse, ma rimasero svegli in lui, non separati né addormentati, gli interessi multipli, la cultura indeterminata. E tutto ciò con l’umiltà di un’apparente bonomia, di un esprimersi che smorza la grandezza del tono” (Gilberto Altichieri). Realizzò manifesti e copertine di libri, come illustratore collaborò con il Corriere della Sera e il Corriere d’Informazione, collaborò con numerose riviste tra cui la rivista teatrale “Controcorrente”. Come autore di drammi, di cui curò spesso anche la regia creando le scenografie e l’intera immagine coordinata, ottenne premi e riconoscimenti che lo resero molto noto nel circuito del teatro filodrammatico. In quest’ambito strinse amicizie durature con attori, Nico Pepe, Sarah Ferrati; registi, Carlo Terron, Diego Fabbri; artisti, Orazio Pigato, Albano Vitturi, Pio Semeghini, Arturo Martini, autore del busto ritratto da Flangini nell’opera famosa Autoritratto.
Negli anni trenta a Ostenda, dove si recava spesso, frequentò James Ensor, con cui colloquiava in francese.
A Milano, nella scuola di via Quadronno, riprese per alcuni anni l’insegnamento. Lo lasciò per dedicarsi totalmente alla pittura, a cui negli anni ‘40-’60 dedicò riflessioni e scritti anche su riviste di settore. L’arte era oggetto di vivaci scambi epistolari e di animate discussioni con gli amici del Gruppo degli Artisti di Corso Venezia- Il Caffè San Babila Lilloni, De Rocchi, Labò, Bartolini, Monti, Barbieri, e ancora con Lanaro e Speranza. Negli anni cinquanta frequentò Carlo Carrà a Forte dei Marmi e, negli anni di collaborazione con la famosa Galleria La Colonna, Migneco Sassu, La sua prima esposizione era stata organizzata dalla Società di Belle Arti a Verona nel 1921 e, da quell’anno, partecipò a quasi tutte le biennali nazionali fino al 1959.
Varie e importanti anche le altre esposizioni artistiche alle quali prese parte. Tra le più prestigiose, l’Opera Bevilacqua La Masa a Venezia, nel 1934 e nel 1936, la Quadriennale d’Arte di Roma, la Permanente di Milano, ininterrottamente dal 1948 al 1961. Numerosi i premi conseguiti: il Premio Suzzara, il Premio Dalmine, il Premio Gallarate, il Premio Marzotto. Molte le personali in Italia (Milano, Bergamo, Como, Gallarate, Piacenza, Rovereto, Riva, Venezia, Forlì ecc) e all’estero (Bucarest, Düsseldorf, Bonn, Vienna, Monaco, Charleroi, Ostenda, Bruxelles ecc)I primi viaggi all’estero di Flangini erano iniziati nel 1922, per conoscere i parenti della giovane moglie, la pittrice Gina Zandavalli, emigrati in Belgio per ragioni politiche in quanto erano . Ma solo nel 1946 incominciò il suo personale Wanderung, fino ad allora limitato all’estate, nei musei di Parigi, Bruxelles, Bruges, Amsterdam, Monaco alla ricerca dei maestri ideali.Nel ritrarre il paesaggio ebbe particolare attenzione per l’ambiente caratterizzato dall’acqua:
numerose opere hanno come soggetto i paesaggi marini, del mediterraneo e dei mari del nord Europa, fluviali e lacustri. L’ambiente montano fu quasi esclusivamente trentino, ricordo della prima guerra mondiale, del campo di prigionia e di due stagioni particolarmente felici, le estati del 1959 e del 1961.
Torna invece frequentemente il paesaggio urbano e industriale, la rappresentazione del lavoro dei minatori – allora quasi solo italiani – dei pescatori, degli scaricatori, degli allevatori, dei sabbionai, degli agricoltori.
A partire dal 1950 approfondì la matrice espressionista della sua pittura, soprattutto dopo l’incontro con Vincente Minelli, regista del film su Van Gogh Brama di vivere. Flangini, al seguito della troupe come pittore “ufficiale”, infatti disegnò e dipinse attori, comparse e ambienti vangoghiani.Durante una delle permanenze estive in Belgio, a Ostenda aveva stretto amicizia con Ensor con il
quale si trovò spesso a discutere d’arte. Quadri come le Kermesse, cioè la rappresentazione delle feste popolari mascherate, sono l’ideale omaggio al maestro oltre che l’approfondimento di un tema, quello della maschera, molto caro a Flangini, uomo di teatro.
Gli ultimi anni dell’artista, dal 1959 al 1961, furono caratterizzati dalla nascita di un nuovo e felice cromatismo riconducibile alle esperienze dei fauves e di Vlaminck in particolare. In opere come Campagna a Charleroi (1961), Mulino a vento a Hetchel (1960), Paesaggio a Gilly (1961) “traspare una visione più serena della vita, che si esprime oltre che nei temi anche nei toni gialli,
ocra rossastri e bruni, vivaci e accesi in un’atmosfera tersa e pulita. Faro di Ostenda (1961) e soprattutto Mulino a Bruges, ultima opera dell’artista rimasta incompiuta sul cavalletto del suo studio alla sua morte, restano come testimonianza del perdurare di una ricerca ancora aperta e vitale” ( Alba Di Lieto).
Nell’agosto del 1961 Flangini, dopo una breve malattia, morì improvvisamente a causa di un avvelenamento da colore.
La città di Milano gli ha dedicato due importanti retrospettive: la prima nel 1967 a Palazzo Reale, promossa da un gruppo di artisti e critici, quali Carlo Carrà, Funi, Treccani, Carpi, Borgese, e dal Comune di Milano; la seconda fu promossa sempre dal Comune di Milano nel 1970 al Museo del Novecento ex Arengario.
Negli anni successivi sono state allestite circa settanta mostre, in Italia e all’estero, per ricordare la figura e l’opera del Maestro, “pittura di ogni tempo, che vive e che va come una persona”
(Leonardo Borgese).
Conseguito il diploma alla Scuola Normale “A. Manzoni” di Verona il 27 giugno 1916, dovendo mantenere la madre e i fratelli iniziò la professione di insegnante elementare che continuò anche dopo la fuga a Milano, avvenuta forse nel 1943, a seguito di una breve prigionia nelle carceri fasciste per motivi politici: aveva infatti collaborato con il Corpo Volontari della Libertà.
Flangini fu “per così dire, polivalente: pedagogo o insegnante, commediografo, pittore, disegnatore, dotato di uno strano potere in ogni campo si cimentasse. Poi la pittura prevalse, ma rimasero svegli in lui, non separati né addormentati, gli interessi multipli, la cultura indeterminata. E tutto ciò con l’umiltà di un’apparente bonomia, di un esprimersi che smorza la grandezza del tono” (Gilberto Altichieri). Realizzò manifesti e copertine di libri, come illustratore collaborò con il Corriere della Sera e il Corriere d’Informazione, collaborò con numerose riviste tra cui la rivista teatrale “Controcorrente”. Come autore di drammi, di cui curò spesso anche la regia creando le scenografie e l’intera immagine coordinata, ottenne premi e riconoscimenti che lo resero molto noto nel circuito del teatro filodrammatico. In quest’ambito strinse amicizie durature con attori, Nico Pepe, Sarah Ferrati; registi, Carlo Terron, Diego Fabbri; artisti, Orazio Pigato, Albano Vitturi, Pio Semeghini, Arturo Martini, autore del busto ritratto da Flangini nell’opera famosa Autoritratto.
Negli anni trenta a Ostenda, dove si recava spesso, frequentò James Ensor, con cui colloquiava in francese.
A Milano, nella scuola di via Quadronno, riprese per alcuni anni l’insegnamento. Lo lasciò per dedicarsi totalmente alla pittura, a cui negli anni ‘40-’60 dedicò riflessioni e scritti anche su riviste di settore. L’arte era oggetto di vivaci scambi epistolari e di animate discussioni con gli amici del Gruppo degli Artisti di Corso Venezia- Il Caffè San Babila Lilloni, De Rocchi, Labò, Bartolini, Monti, Barbieri, e ancora con Lanaro e Speranza. Negli anni cinquanta frequentò Carlo Carrà a Forte dei Marmi e, negli anni di collaborazione con la famosa Galleria La Colonna, Migneco Sassu, La sua prima esposizione era stata organizzata dalla Società di Belle Arti a Verona nel 1921 e, da quell’anno, partecipò a quasi tutte le biennali nazionali fino al 1959.
Varie e importanti anche le altre esposizioni artistiche alle quali prese parte. Tra le più prestigiose, l’Opera Bevilacqua La Masa a Venezia, nel 1934 e nel 1936, la Quadriennale d’Arte di Roma, la Permanente di Milano, ininterrottamente dal 1948 al 1961. Numerosi i premi conseguiti: il Premio Suzzara, il Premio Dalmine, il Premio Gallarate, il Premio Marzotto. Molte le personali in Italia (Milano, Bergamo, Como, Gallarate, Piacenza, Rovereto, Riva, Venezia, Forlì ecc) e all’estero (Bucarest, Düsseldorf, Bonn, Vienna, Monaco, Charleroi, Ostenda, Bruxelles ecc)I primi viaggi all’estero di Flangini erano iniziati nel 1922, per conoscere i parenti della giovane moglie, la pittrice Gina Zandavalli, emigrati in Belgio per ragioni politiche in quanto erano . Ma solo nel 1946 incominciò il suo personale Wanderung, fino ad allora limitato all’estate, nei musei di Parigi, Bruxelles, Bruges, Amsterdam, Monaco alla ricerca dei maestri ideali.Nel ritrarre il paesaggio ebbe particolare attenzione per l’ambiente caratterizzato dall’acqua:
numerose opere hanno come soggetto i paesaggi marini, del mediterraneo e dei mari del nord Europa, fluviali e lacustri. L’ambiente montano fu quasi esclusivamente trentino, ricordo della prima guerra mondiale, del campo di prigionia e di due stagioni particolarmente felici, le estati del 1959 e del 1961.
Torna invece frequentemente il paesaggio urbano e industriale, la rappresentazione del lavoro dei minatori – allora quasi solo italiani – dei pescatori, degli scaricatori, degli allevatori, dei sabbionai, degli agricoltori.
A partire dal 1950 approfondì la matrice espressionista della sua pittura, soprattutto dopo l’incontro con Vincente Minelli, regista del film su Van Gogh Brama di vivere. Flangini, al seguito della troupe come pittore “ufficiale”, infatti disegnò e dipinse attori, comparse e ambienti vangoghiani.Durante una delle permanenze estive in Belgio, a Ostenda aveva stretto amicizia con Ensor con il
quale si trovò spesso a discutere d’arte. Quadri come le Kermesse, cioè la rappresentazione delle feste popolari mascherate, sono l’ideale omaggio al maestro oltre che l’approfondimento di un tema, quello della maschera, molto caro a Flangini, uomo di teatro.
Gli ultimi anni dell’artista, dal 1959 al 1961, furono caratterizzati dalla nascita di un nuovo e felice cromatismo riconducibile alle esperienze dei fauves e di Vlaminck in particolare. In opere come Campagna a Charleroi (1961), Mulino a vento a Hetchel (1960), Paesaggio a Gilly (1961) “traspare una visione più serena della vita, che si esprime oltre che nei temi anche nei toni gialli,
ocra rossastri e bruni, vivaci e accesi in un’atmosfera tersa e pulita. Faro di Ostenda (1961) e soprattutto Mulino a Bruges, ultima opera dell’artista rimasta incompiuta sul cavalletto del suo studio alla sua morte, restano come testimonianza del perdurare di una ricerca ancora aperta e vitale” ( Alba Di Lieto).
Nell’agosto del 1961 Flangini, dopo una breve malattia, morì improvvisamente a causa di un avvelenamento da colore.
La città di Milano gli ha dedicato due importanti retrospettive: la prima nel 1967 a Palazzo Reale, promossa da un gruppo di artisti e critici, quali Carlo Carrà, Funi, Treccani, Carpi, Borgese, e dal Comune di Milano; la seconda fu promossa sempre dal Comune di Milano nel 1970 al Museo del Novecento ex Arengario.
Negli anni successivi sono state allestite circa settanta mostre, in Italia e all’estero, per ricordare la figura e l’opera del Maestro, “pittura di ogni tempo, che vive e che va come una persona”
(Leonardo Borgese).