Curato dall’ Associazione Flangini
15 ottobre – 31 dicembre 2003
15 octobre – 31 décembre 2003
Considéré comme une partie de l’Italie depuis un 8 août 1956 de sinistre mémoire, le Bois du Cazier se devait d’accueillir une exposition de Giuseppe Flangini. Des œuvres au titre aussi évocateur que « Sortie de la mine », « Kermesse à Gilly » ou encore « Usines Solvay à Couillet », ne pouvaient que faire un jour l’honneur de ses cimaises et s’arrêter à Marcinelle. Le festival Europalia permettra de concrétiser ce mariage de l’art et du monde industriel qui fascina tant cet artiste.
S’éteignant en 1961 à Vérone qui l’avait vu naître en 1898, Giuseppe Flangini fut cependant amené, pour des raisons familiales, à quitter sa Vénétie natale et à effectuer de nombreux séjours à l’étranger, notamment en Belgique. Et c’est précisément grâce aux tableaux et aux dessins qu’il réalisa dans ce pays, tant sur la côte qu’à Bruges, mais surtout le long du sillon industriel hennuyer, que Flangini se fit connaître dans le monde de la peinture.
Flangini doit en effet à cette terre de labeur et d’immigration qu’est la Wallonie sa renommée et son originalité. On respire dans ses œuvres une sorte de parfum du Nord où les senteurs de la nature se mêlent à l’odeur âcre des hauts fourneaux. Il en donnera une vision personnelle et nouvelle, en marge des grands courants artistiques, mais où l’homme du peuple, pour lequel l’artiste nourrissait un fort sentiment de solidarité, sera toujours présent. Avec Giuseppe Flangini, nous sommes à la limite de ce que l’on appelle communément un « peintre social », le tout mâtiné d’une très grande poésie.
GIUSEPPE FLANGINI A MARCINELLE:
UNO SGUARDO VERSO IL FUTURO
Sarà bello ricordare quanto è avvenuto cinquanta anni fa non con il compianto, ma con una riflessione che sappia cogliere, al di là del dolore, quanto d’utile vi sia per contribuire ad una vita
più consapevolmente ricca di valori.
L’etimologia di “ri-cordare” comprende il senso del “nuovamente” e la parola “cuore”, come se noi dovessimo ritrovare il passato con il “cuore”.
Potremo farlo lasciandoci guidare dalle fotografie di quegli anni lontani, che rispecchiano fedelmente la realtà, e dai disegni di Giuseppe Flangini che, come ogni artista, la interpreta.
Il nostro percorso ideale inizia dalle immagini fotografiche di un’Italia, caduta in rovina per le due guerre mondiali, e prosegue con i disegni nei quali Flangini rappresenta l’ambiente che accoglieva gli emigranti: i colori del primo periodo sono chiari, il paesaggio è sereno, ed anche la presenza di pesanti chiatte sulla Sambre non priva il fiume della sua naturale bellezza.
Con il trascorrere del tempo, tuttavia, l’ambiente s’incupisce, il paesaggio diventa industriale, con le sue colline di carbone e le sue torri quasi minacciose.
Perfino la luce del sole e della luna è offuscata dalla caligine di quell’atmosfera irreale.
Le figure umane vi appaiono come fantasmi (proprio così li ha definiti Flangini, in una preziosa registrazione audio), uomini resi curvi dalla fatica, con i volti simili a maschere ricoperte di una sorta di cipria nera.
Ma non i loro occhi. Gli occhi conservano la luce di quei valori che animavano la loro vita, luce che potrà illuminare anche noi, se saremo capaci di divenirne eredi. Occhi e sguardi indimenticabili, come quelli che ci fissano dalla foto scelta per il manifesto, a cui guardiamo con commossa ammirazione per la forza che quegli uomini sapevano trarre dai valori in cui credevano.
Valori come il coraggio di abbandonare il loro paese per cercare di costruire in una terra lontana una vita migliore per i propri cari ed il coraggio di farlo calandosi nelle viscere di quella terra.
I racconti dei figli di quei minatori ci testimoniano che il loro coraggio non era assenza di paura nel discendere nel buio dei pozzi e dei cunicoli della miniera (sarebbe stata incoscienza!), ma la forza di vincere ogni giorno quella paura.
Valori come l’amore per la famiglia, un amore mostrato con i fatti e non solo dichiarato a parole.
Valori come la solidarietà fra compagni di lavoro, che dà forza per superare la fatica.
Valori come il lavoro vissuto non solo nella sua dimensione economica, ma anche nella dimensione affettiva di chi è consapevole di costruire un futuro migliore.
Questi valori traspaiono dai volti, fotografati o disegnati, e, in particolare, ridanno luce agli ultimi disegni di Flangini, che ritrova il colore, la luminosità del sole e la presenza di simboli quali i girasoli.
Gli stessi ideali potrebbero infondere nuova forza nella nostra società, ammalata d’individualismo esasperato e di sfiducia, aiutandola a riscoprire la solida base naturale degli affetti familiari, a scegliere la solidarietà fra compagni di lavoro, invece della competizione, ed il coraggio di ricominciare a lottare per costruire realtà nuove e migliori, rinunciando alle tante comode fughe dall’impegno del vivere che ci vengono proposte ogni giorno.
Questa speranza è rappresentata in alcuni disegni di minatori che, gli uni accanto agli altri, hanno, tutti insieme, lo sguardo rivolto avanti. L’artista che, con sobria commozione, rende omaggio a quegli uomini poveri di cose, ma spiritualmente tanto ricchi, ci aiuta, alla fine di questo percorso, a scoprire anche il valore religioso del lavoro, che nella Genesi è la via per il riscatto dell’umanità dal peccato.
Talvolta, come cinquanta anni fa, il lavoro può divenire sacrificio della vita, ma allora accade quello che è sempre accaduto nella Storia: in maniera misteriosa, ma non per questo meno reale, dalla morte nasce una speranza nuova, una civiltà nuova, perché è il chicco di grano che muore quello che darà molto frutto.
Venti anni fa un giovane missionario comboniano, Ezechiele Ramin, fu ucciso in Brasile, mentre stava difendendo i diritti dei contadini “senza terra”.
Subito dopo la sua tragica morte quei diseredati vollero stampare dei manifestini con il suo volto e con queste parole: “Il sangue di questi martiri feconderà la nostra terra!”.
Questa mattina, mentre ascoltavo, commossa, le parole di tanti Italiani che risiedono in Belgio e che dichiarano di essere grati a questo paese, della cui vita si sentono partecipi, ho compreso che anche questa terra è stata fecondata dal sangue di quei minatori, contributo di valore inestimabile per lo sviluppo di una società migliore.
Vorrei che tutti noi ricordassimo, con un senso di profonda gratitudine che può unire i vivi ai morti, le parole che ha pronunciato Christine, responsabile laico della Missione Cattolica di Gilly: “Loro sono stati i primi a costruire l’Europa!”.
Tocca a noi farci spiritualmente eredi di quei minatori e continuare a farli vivere in un ricordo che ci ispiri azioni migliori, magari allargando ancora i confini della nostra vecchia Europa ed accogliendo con autentica solidarietà e carità cristiana coloro che giungono a noi, come allora, da terre lontane.
Anna Maria Rossi Castaldi